martedì 19 febbraio 2019

Nostalghia

Mi appunto qui questo bel post di Gianfranco Massetti sul film di  Tarkovskij "Nostalghia"

Berezovskij era stato un musicista molto precoce, che nonostante la condizione servile venne inviato in Italia dal principe Potëmkin per seguire i corsi dell’Accademia musicale di Bologna. In Italia, Berezovskij divenne ben presto famoso per le sue numerose composizioni, ma Potëmkin nel 1774 gli ordinò di rientrare in patria per fondarvi un conservatorio. Ritornato quindi a vivere in Russia, dove si sarebbe innamorato di una giovane attrice, come lui di condizioni servili, Berezovskij divenne in breve tempo un alcolizzato e nel 1777 si tolse la vita, in quanto il padrone della ragazza, essendo geloso di lui, l’avrebbe violentata e fatta deportare in Siberia.



 Sulle tracce del soggiorno in Toscana di Berezovskij, lo scrittore russo si ferma nei pressi della cattedrale di Monterchi, dove si custodisce la “Madonna del Parto” di Piero della Francesca. All’interno della cattedrale, Eugenia assiste così a una cerimonia. Si tratta di un rito mariano di propiziazione della maternità. Reduce da alcune delusioni sentimentali, Eugenia è alla ricerca di un senso, di un significato esistenziale, di qualcosa o qualcuno in cui sentirsi realizzata sia come donna che come persona. Ma Eugenia, da donna emancipata quale è, della maternità ha semplicemente paura… Rimasto fuori ad attendere la sua guida, Gorciakov, che aveva manifestato in un primo tempo il desiderio di vedere la Madonna del Parto, non ce la fa ad entrare nella cattedrale: è stanco… stanco di vedere le bellezze che gli si offrono in Italia. Vorrebbe rivedere invece sua moglie, i suoi figli, la sua terra, lontano dalla quale prova un’immensa “Nostalghia”, come dicono i russi nel loro italiano. E’ probabilmente la nostalgia della sua terra che lo ha spinto quindi a visitare il luogo dove si custodisce l’icona con la Madonna del Parto di Piero della Francesca; la medesima nostalgia che secondo un episodio di cronaca avrebbe spinto una domestica calabrese ad appiccare il fuoco alla casa dei suoi padroni, a Milano.

 Nella sala d’attesa di una vecchia pensione, a Bagno Vignoni, presso le terme dove veniva a curarsi Caterina da Siena, Eugenia e Gorciakov discutono intorno alla difficoltà dei popoli di comprendersi. Eugenia sta leggendo una traduzione delle poesie di Arsenij Tarkovskij, ma Gorciakov, che le consiglia di buttare il libro nella pattumiera, sostiene l’idea che l’arte e la poesia non sono traducibili e che gli italiani non capiscono affatto la Russia, ma che neanche i russi conoscono davvero l’Italia e la sua cultura. Eugenia chiede allora cosa si deve fare. “Abolire le frontiere”, dice lo scrittore. “Quali frontiere?” Replica lei. “Quelle politiche”, risponde Gorciakov. Ricevute le chiavi delle rispettive stanze, Gorciakov ed Eugenia si appartano. Dopo una breve perlustrazione del suo appartamento, lo scrittore si corica e si addormenta profondamente. Quindi, si sovrappongono alle immagini della veglia quelle del sonno, alla Madonna del Parto l’immagine di una donna incinta, sdraiata sopra un letto, che richiama la rappresentazione della Koimesis, la “Dormitio Virginis” bizantina, alla quale il cristianesimo occidentale ha finito per sostituire l’immagine dell’Assunzione di Maria.

 Il giorno dopo, Eugenia e Gorciakov, nei pressi della vasca che porta il nome di Caterina da Siena, faranno la conoscenza di Domenico, un vecchio dall’aspetto malandato, che un tempo viveva con la sua famiglia a Bagno Vignoni.
Caterina Benincasa era stata una delle numerose sante anoressiche che hanno costellato la storia del cristianesimo occidentale tra la fine del medioevo e l’età moderna. La sua vocazione sarebbe nata in seguito alla morte della sorella per parto. Domenico, che gli abitanti di Bagno Vignoni considerano un povero pazzo, si rivolge a Eugenia dicendole di non scordare la rivelazione che Dio ha voluto fare a Santa Caterina: “Tu sei colei che non è. Io sono colui che è!”
Domenico è reduce dal manicomio criminale. Si era barricato in casa con la famiglia in attesa della fine del mondo. Ma la fine del mondo non era mai arrivata ed un giorno, invece, erano arrivati i carabinieri.
 Gorciakov vuole assolutamente parlare con Domenico, andare a casa sua, vederlo, dice di capire il suo comportamento, il suo stato d’animo. Domenico non è un pazzo, voleva soltanto proteggere la sua famiglia, perché è un uomo religioso, un uomo che ha fede. Solo un russo può essere in grado di capire queste cose.
Con Eugenia, lo scrittore si reca allora a trovare Domenico. Lei però se ne torna subito a Bagno Vignoni, dimostrandosi molto contrariata nei confronti di Gorciakov, perché continua a dare retta a un povero malato di mente. Ma Tarkovskij continua a ribadire che Domenico non è pazzo; egli abita semplicemente la pazzia della civiltà moderna. Non a caso, il regista riempie l’abitazione di Domenico con libere citazioni che mostrano la dissoluzione psichica dell’Io alla quale sono giunte le avanguardie artistiche del novecento.

In procinto di allontanarsi dalla casa del vecchio, Gorciakov riceve una richiesta di aiuto. Lui, Domenico, non può farlo, perché la gente lo ritiene pazzo. Ogni volta che tenta di immergersi nella vasca di Santa Caterina pensano che stia cercando di affogarsi. Ma è importante. Si tratta di una sorta di esorcismo. Bisogna attraversare la vasca con una candela accesa. Toccare le due sponde della vasca, cercando di impedire che la candela venga a spegnersi.
Tornato alla pensione, a Bagno Vignoni, Gorciakov vi ritrova Eugenia, che umiliata e delusa per il suo comportamento gli fa una scenata. Eugenia vorrebbe essere capita, amata, apprezzata, ma gli uomini, da lei, vogliono una sola cosa… Anche lui, anche Gorciakov, che sembrava tanto diverso dagli altri, forse, vuole soltanto questo… Ma lo scrittore rimane attonito e completamente sorpreso dalle parole di Eugenia. Lui non vuole proprio niente…Eugenia si è sbagliata, perché Gorciakov non pensava a nessuna storia, a nessuna avventura. E’ lei che se l’è messo in testa. E’ lei che si è innamorata di Gorciakov.

 A Bagno Vignoni la stagione termale è finita e lo scrittore deve recarsi all’aeroporto per tornare a casa. Improvvisamente, da Roma, lo chiama per telefono Eugenia. Lo vuole salutare. Lei adesso si è sistemata. Ha finalmente trovato un uomo; una persona visibilmente gretta, ma che a suo dire si occupa invece di problemi spirituali. Ha chiamato Gorciakov perché Domenico è da qualche giorno a Roma, dov’è riuscito a improvvisare un comizio con dei suoi amici. L’ ha pregata di ricordargli la sua promessa. Allora, Gorciakov ritorna alla piscina di Santa Caterina, che alcuni operai delle terme stanno ripulendo. Accende la candela che Domenico gli aveva dato e cerca di attraversare la vasca da sponda a sponda. Ma una corrente d’aria, ogni volta, spegne la fiamma.

 Intanto, Domenico è quasi al termine del suo comizio. In Campidoglio, dalla statua equestre di Marco Aurelio, l’Imperatore filosofo, grida con un megafono alcune frasi che citiamo ricavandole dal racconto cinematografico di Tarkovskij (la sceneggiatura del film sarà realizzata dal poeta italiano Tonino Guerra):
 “ Perché l’umanità possa avanzare, e non rimanere sospesa sull’orlo del baratro, dobbiamo camminare mano nella mano, i cosiddetti sani con i cosiddetti pazzi. Ehi! “Sani”! Che cosa significa la vostra salute?! ... Dovete rassegnarvi, finalmente, a dire a voi stessi: “Dobbiamo vivere con loro, mangiare con loro, bere con loro, dormire con loro”. A cosa vi serve la libertà se non avete nemmeno il coraggio di guardare negli occhi la verità: con la vostra cosiddetta “salute” avete portato il mondo sulla soglia della catastrofe. … L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi! Io parlo chiaramente, senza ascoltare nessuno, perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete tornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! … Che cosa vale questo mondo, che cosa vale la sua giustizia, quando un povero malato di mente, come ci chiamate, vi dice: vergognatevi! Fino a che siete in tempo: vergognatevi! …” (in A. Tarkovskij, Racconti cinematografici, Milano, 1994, pp. 265-266). Infine, un amico di Domenico aziona l’impianto stereofonico da cui risuona la musica della nona sinfonia di Beethoven. Sulle note dell’Inno alla Gioia, che invitano nel loro furore dionisiaco alla fratellanza, Domenico si cosparge di benzina e si da fuoco con l’accendino.
 Intanto, a Bagno Vignoni, dopo l’ennesimo tentativo, Gorciakov riesce a portare a termine il suo compito. Toccata la sponda opposta della vasca di Santa Caterina, viene però colpito da infarto e muore. “Nostalghia” si chiude con le immagini della campagna russa, che sfuma progressivamente tra le mura decrepite della cattedrale di San Galgano. Frutto di una coproduzione italo – sovietica dei primi anni ottanta, il film di Tarkovskij viene terminato durante la primavera del 1983. L’Inno alla Gioia, su le cui note avviene il suicidio di Domenico (l’Inno alla Gioia è un brano citato anche da Kubrick in Arancia meccanica), era invece, nella sceneggiatura, il Tannhäuser di Wagner (cfr. A. Tarkovskij, Racconti cinematografici, p. 266). Tarkovskij scriveva nel suo diario l’otto febbraio del 1983: “ Tutta la musica occidentale è, in fin dei conti, puro empito drammatico : “Io voglio, pretendo,desidero, chiedo, soffro”. Quella orientale invece (Cina, Giappone, India): “Io non voglio niente, io sono niente” – una dissoluzione completa in Dio, nella Natura. L’oriente: frammenti superstiti di antiche culture, autenticamente civili, contrapposte all’Occidente, centro dell’errata, tragica civiltà tecnologica. Ribelle contro Dio, avida, cervellotica, pragmatica. Proprio perché la Russia si trova tra l’Oriente e l’Occidente, in essa si percepisce un’essenza diversa da quella dell’Occidente, che è peritura e sbagliata.” ( A. Tarkovskij, Diari, martirologio , Firenze, 2002, pp. 542-543).
Una sintesi complessiva del significato del film di Tarkovskij può essere probabilmente individuata nella visita di Gorciakov alla casa di Domenico. Le cifre della scritta a carboncino sull’intonaco della parete (1+1= 1) alludono in modo neppure troppo ermetico a una concezione olistica della conoscenza. Una concezione secondo cui una goccia di olio più un’altra goccia, come fa dire il regista a Domenico, non fanno due gocce, ma una sola goccia più grande. Bisogna, cioè, superare la dualità e cercare l’Uno, in tutte le cose. Fare come gli alchimisti del Rinascimento. Superare il dualismo. Ritornare al punto dove l’umanità si è persa “imboccando la via sbagliata”. Trovare una sintesi tra materia e spirito; quella sintesi che Tarkovskij ci mostra nell’alchimia poetica dei suoi film.

Gianfranco Massetti

(Sofia Rondelli ne da qui una sua interpretazione)





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