Mi appunto qui questo bel post di Gianfranco Massetti sul film di Tarkovskij "Nostalghia"
Berezovskij
era stato un musicista molto precoce, che nonostante la condizione
servile venne inviato in Italia dal principe Potëmkin
per seguire i corsi dell’Accademia musicale di Bologna. In Italia,
Berezovskij divenne ben presto famoso per le sue numerose composizioni,
ma Potëmkin nel 1774 gli ordinò di rientrare in patria per
fondarvi un conservatorio. Ritornato quindi a vivere in Russia, dove
si sarebbe innamorato di una giovane attrice, come lui di condizioni
servili, Berezovskij divenne in breve tempo un alcolizzato e nel 1777
si tolse la vita, in quanto il padrone della ragazza, essendo geloso
di lui, l’avrebbe violentata e fatta deportare in Siberia.
Sulle
tracce del soggiorno in Toscana di Berezovskij, lo scrittore russo
si ferma nei pressi della cattedrale di Monterchi, dove si
custodisce la “Madonna del Parto” di Piero
della Francesca. All’interno
della cattedrale, Eugenia assiste così a una cerimonia. Si
tratta di un rito mariano di propiziazione della maternità.
Reduce da alcune delusioni sentimentali, Eugenia è alla ricerca
di un senso, di un significato esistenziale, di qualcosa o qualcuno
in cui sentirsi
realizzata sia come donna che come persona. Ma Eugenia, da donna
emancipata quale è, della maternità ha semplicemente
paura… Rimasto fuori ad attendere la sua guida, Gorciakov, che aveva manifestato
in un primo tempo il desiderio di vedere la Madonna del Parto, non
ce la fa ad entrare nella cattedrale: è stanco… stanco di
vedere le bellezze che gli si offrono in Italia. Vorrebbe rivedere invece
sua moglie, i suoi figli, la sua terra, lontano dalla quale prova un’immensa “Nostalghia”,
come dicono i russi nel loro italiano. E’ probabilmente la nostalgia
della sua terra che lo ha spinto quindi a visitare il luogo dove si
custodisce l’icona con la Madonna del Parto di Piero della
Francesca; la medesima nostalgia che secondo un episodio di cronaca
avrebbe spinto
una domestica calabrese ad appiccare il fuoco alla casa dei suoi
padroni, a Milano.
Nella
sala d’attesa di una vecchia pensione, a Bagno Vignoni,
presso le terme dove veniva a curarsi Caterina da Siena, Eugenia
e Gorciakov discutono intorno alla difficoltà dei popoli
di comprendersi. Eugenia sta leggendo una traduzione delle poesie
di Arsenij
Tarkovskij,
ma Gorciakov, che le consiglia di buttare il libro nella pattumiera,
sostiene l’idea che l’arte e la poesia non sono traducibili
e che gli italiani non capiscono affatto la Russia, ma che neanche
i russi conoscono davvero l’Italia e la sua cultura. Eugenia
chiede allora cosa si deve fare. “Abolire le frontiere”,
dice lo scrittore. “Quali frontiere?” Replica lei. “Quelle
politiche”, risponde Gorciakov.
Ricevute le chiavi delle rispettive stanze, Gorciakov ed Eugenia
si appartano. Dopo una breve perlustrazione del suo appartamento,
lo
scrittore si corica e si addormenta profondamente. Quindi, si
sovrappongono alle
immagini della veglia quelle del sonno, alla Madonna del Parto
l’immagine
di una donna incinta, sdraiata sopra un letto, che richiama la
rappresentazione della Koimesis, la “Dormitio Virginis” bizantina,
alla quale il cristianesimo occidentale ha finito per sostituire
l’immagine
dell’Assunzione di Maria.
Il giorno dopo, Eugenia
e Gorciakov, nei pressi della vasca che porta il nome di Caterina
da Siena, faranno la conoscenza di Domenico, un vecchio dall’aspetto
malandato, che un tempo viveva con la sua famiglia a Bagno Vignoni.
Caterina Benincasa era stata una delle numerose sante anoressiche che
hanno costellato la storia del cristianesimo occidentale tra la fine
del medioevo e l’età moderna. La sua vocazione sarebbe
nata in seguito alla morte della sorella per parto. Domenico, che gli
abitanti di Bagno Vignoni considerano un povero pazzo, si rivolge a
Eugenia dicendole di non scordare la rivelazione che Dio ha voluto fare
a Santa Caterina: “Tu sei colei che non è. Io sono colui
che è!”
Domenico è reduce dal manicomio criminale. Si era barricato in
casa con la famiglia in attesa della fine del mondo. Ma la fine del
mondo non era mai arrivata ed un giorno, invece, erano arrivati i carabinieri.
Gorciakov
vuole assolutamente parlare con Domenico, andare a casa sua, vederlo,
dice di capire il suo comportamento, il suo stato d’animo.
Domenico non è un pazzo, voleva soltanto proteggere la sua famiglia,
perché è un uomo religioso, un uomo che ha fede. Solo
un russo può essere in grado di capire queste cose.
Con Eugenia, lo scrittore si reca allora a trovare Domenico. Lei però se
ne torna subito a Bagno Vignoni, dimostrandosi molto contrariata nei
confronti di Gorciakov, perché continua a dare retta a un povero
malato di mente. Ma Tarkovskij continua a ribadire che Domenico non è pazzo;
egli abita semplicemente la pazzia della civiltà moderna. Non
a caso, il regista riempie l’abitazione di Domenico con libere
citazioni che mostrano la dissoluzione psichica dell’Io alla quale
sono giunte le avanguardie artistiche del novecento.
In procinto di allontanarsi dalla casa del vecchio, Gorciakov riceve
una richiesta di aiuto. Lui, Domenico, non può farlo, perché la
gente lo ritiene pazzo. Ogni volta che tenta di immergersi nella vasca
di Santa Caterina pensano che stia cercando di affogarsi. Ma è importante.
Si tratta di una sorta di esorcismo. Bisogna attraversare la vasca con
una candela accesa. Toccare le due sponde della vasca, cercando di impedire
che la candela venga a spegnersi.
Tornato alla pensione, a Bagno Vignoni, Gorciakov vi ritrova Eugenia,
che umiliata e delusa per il suo comportamento gli fa una scenata.
Eugenia vorrebbe essere capita, amata, apprezzata, ma gli uomini,
da lei, vogliono
una sola cosa… Anche lui, anche Gorciakov, che sembrava tanto
diverso dagli altri, forse, vuole soltanto questo… Ma lo scrittore
rimane attonito e completamente sorpreso dalle parole di Eugenia. Lui
non vuole proprio niente…Eugenia si è sbagliata, perché Gorciakov
non pensava a nessuna storia, a nessuna avventura. E’ lei che
se l’è messo in testa. E’ lei che si è innamorata
di Gorciakov.
A Bagno Vignoni la stagione termale è finita e lo scrittore deve
recarsi all’aeroporto per tornare a casa. Improvvisamente, da
Roma, lo chiama per telefono Eugenia. Lo vuole salutare. Lei adesso
si è sistemata. Ha finalmente trovato un uomo; una persona visibilmente
gretta, ma che a suo dire si occupa invece di problemi spirituali. Ha
chiamato Gorciakov perché Domenico è da qualche giorno
a Roma, dov’è riuscito a improvvisare un comizio con dei
suoi amici. L’ ha pregata di ricordargli la sua promessa. Allora,
Gorciakov ritorna alla piscina di Santa Caterina, che alcuni operai
delle terme stanno ripulendo. Accende la candela che Domenico gli aveva
dato e cerca di attraversare la vasca da sponda a sponda. Ma una corrente
d’aria, ogni volta, spegne la fiamma.
Intanto, Domenico è quasi al termine del
suo comizio. In Campidoglio, dalla statua equestre
di Marco Aurelio, l’Imperatore filosofo, grida con
un megafono alcune frasi che citiamo ricavandole dal racconto cinematografico
di Tarkovskij (la sceneggiatura del film sarà realizzata
dal poeta italiano Tonino Guerra):
“
Perché l’umanità possa avanzare, e non rimanere
sospesa sull’orlo del baratro, dobbiamo camminare mano nella
mano, i cosiddetti sani con i cosiddetti pazzi. Ehi! “Sani”!
Che cosa significa la vostra salute?! ... Dovete rassegnarvi, finalmente,
a dire a voi stessi: “Dobbiamo vivere con loro, mangiare con
loro, bere con loro, dormire con loro”. A cosa vi serve la libertà se
non avete nemmeno il coraggio di guardare negli occhi la verità:
con la vostra cosiddetta “salute” avete portato il mondo
sulla soglia della catastrofe. … L’umanità è giunta
a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi! Io parlo chiaramente,
senza ascoltare nessuno, perché tutti capiate che la vita è semplice
e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la
vostra discendenza, il vostro futuro, dovete tornare al punto dove
vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! … Che
cosa vale questo mondo, che cosa vale la sua giustizia, quando un
povero malato di mente, come ci chiamate, vi dice: vergognatevi! Fino
a che siete in tempo: vergognatevi! …” (in A. Tarkovskij,
Racconti cinematografici, Milano, 1994, pp. 265-266).
Infine, un amico di Domenico aziona l’impianto stereofonico
da cui risuona la musica della nona sinfonia di Beethoven. Sulle note
dell’Inno alla Gioia, che invitano nel loro furore dionisiaco
alla fratellanza, Domenico si cosparge di benzina e si da fuoco
con l’accendino.
Intanto,
a Bagno Vignoni, dopo l’ennesimo tentativo,
Gorciakov riesce a portare a termine il suo compito. Toccata la sponda
opposta della vasca di Santa Caterina, viene però colpito da
infarto e muore. “Nostalghia” si chiude
con le immagini della campagna russa, che sfuma progressivamente
tra le mura decrepite
della cattedrale di San Galgano. Frutto di una
coproduzione italo – sovietica dei primi anni ottanta,
il film di Tarkovskij viene terminato durante la primavera del 1983.
L’Inno alla Gioia, su le cui note avviene il suicidio di Domenico
(l’Inno alla Gioia è un brano citato anche da Kubrick in
Arancia meccanica), era invece, nella sceneggiatura, il Tannhäuser
di Wagner (cfr. A. Tarkovskij, Racconti cinematografici, p. 266). Tarkovskij
scriveva nel suo diario l’otto febbraio del 1983: “ Tutta
la musica occidentale è, in fin dei conti, puro empito drammatico
: “Io voglio, pretendo,desidero, chiedo, soffro”. Quella
orientale invece (Cina, Giappone, India): “Io non voglio niente,
io sono niente” – una dissoluzione completa in Dio, nella
Natura. L’oriente: frammenti superstiti di antiche culture, autenticamente
civili, contrapposte all’Occidente, centro dell’errata,
tragica civiltà tecnologica. Ribelle contro Dio, avida, cervellotica,
pragmatica. Proprio perché la Russia si trova tra l’Oriente
e l’Occidente, in essa si percepisce un’essenza diversa
da quella dell’Occidente, che è peritura e sbagliata.” (
A. Tarkovskij, Diari, martirologio , Firenze, 2002, pp. 542-543).
Una sintesi complessiva del significato del film di Tarkovskij può essere
probabilmente individuata nella visita di Gorciakov alla casa di Domenico.
Le cifre della scritta a carboncino sull’intonaco della parete
(1+1= 1) alludono in modo neppure troppo ermetico a una concezione
olistica della conoscenza. Una concezione secondo cui una goccia di
olio più un’altra
goccia, come fa dire il regista a Domenico, non fanno due gocce, ma
una sola goccia più grande. Bisogna, cioè, superare
la dualità e cercare l’Uno, in tutte le cose. Fare come
gli alchimisti del Rinascimento. Superare il dualismo. Ritornare al
punto
dove l’umanità si è persa “imboccando la
via sbagliata”. Trovare una sintesi tra materia e spirito; quella
sintesi che Tarkovskij ci mostra nell’alchimia poetica dei suoi
film.
Gianfranco Massetti
(Sofia Rondelli ne da qui una sua interpretazione)
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